Documento. L’arcipelago del Futuro: Nessuno deve rimanere un’isola.

Intervento del Prof. Adolfo Pazzagli, emerito di Clinica Psichiatrica, Psicologia Clinica, Università di Firenze Psicoanalista, Presidente A.I.PSI.

 

 

Trascrizione dell’intervento del Prof. Adolfo Pazzagli “Famiglia: l’arcipelago del futuro” Nessuno deve rimanere un’isola. Firenze, 12 giugno 2010 Mantenere l’attenzione dopo le 19 righe è un problema, secondo il direttore è una sfida, devo essere bravo a recitare. Ma in realtà oggi io sono stato ingaggiato per presentare questo programma. Sono stato ingaggiato in particolare da Zaira la quale stamattina ha cominciato dicendo sono 37 anni che mi occupo di queste cose. In questi 37 anni, diciamo che per 30 mi ha incrociato almeno una volta al mese per discutere del progetto specifico di un qualche ragazzo difficile. Quindi da questo punto di vista potremmo anche non sopportarci più se non fosse che questo interesse, questa apertura verso gli altri ci ha aiutati invece a continuare a collaborare. Naturalmente, presentare un progetto poi mi aiuta nel momento in cui non sono più professore universitario, ma al contrario di quello che è stato detto, mi aiuta a dire, vedete ho finito un mestiere ma ho un progetto, qualcosa che va verso il futuro e quindi aiuta quella micro-maniacalità che ci permette di vivere sereni in varie tappe dello sviluppo della nostra vita. Allora il progetto che io presento è appunto, famiglia e genitorialità. E molte cose c’è l’ha dette Prandini, senza che ci fossimo messi d’accordo, ma credo che alcuni suoi stimoli possano essere visti, se pure in chiave diversa e con un vertice d’osservazione diversa, anche nel nostro progetto. Famiglia e genitorialità, strumenti, orizzonti oltre la crisi. Intanto una breve introduzione. Cosa s’intende per crisi? Vedete, la famiglia si dice è in crisi, non solo la crisi economica ma appunto, i cambiamenti sociali e economici. Ma una famiglia poi è stabilmente in crisi in quanto ogni persona ha un suo ciclo di vita, cambia durante il ciclo di vita e quindi le funzioni che la famiglia svolge sono continuamente in crisi, cioè cambiano, non possono essere immobili, la vera famiglia che si rompe è quella che è rigida e sempre uguale. Per crisi qui s’intende che deve affrontare dei mutamenti. In fondo allevare un figlio ha una funzione che si dice antinomica, si pone per essere superata, cioè si pone una dipendenza totale del nuovo nato, quello che abbiamo sentito, l’accoglienza l’ospitalità del neonato, è assoluta ma deve poi diventare qualche cosa che viene superato attraverso l’acquisizione di una autonomia. Quindi per questo in definitiva una famiglia è, potremmo dire, per fortuna sempre in crisi, e la parola crisi implica, appunto, qualche cosa che, dal punto di vista del significato, è comune con la parola crinale, cioè il crinale di un monte. Laddove c’è una situazione critica, per cui, per esempio una goccia d’acqua per pochi centimetri può andare da una parte o da un altra, come negli Stati Uniti esiste l’independance path un passo dove una goccia d’acqua per 20 centimetri può andare verso il Pacifico o verso il golfo del Messico, oppure come diceva un vecchio generale guardando la battaglia dal crinale è entusiasmante pensare che la mia pipì possa andare di qua o di là a seconda dei pochi centimetri. Allora qui la parola crisi, crinale, cosa vuol dire? Bastano alcune piccole modificazioni perchè una vicenda assuma una caratteristica o l’altra, per esempio evolva verso un equilibrio migliore o peggiore, ma non rivoluzioni di tipo medico come spesso nelle nostre fantasie; o morto o salvato, ma dei piccoli cambiamenti che col tempo finiscono con l’avere però, delle grandi conseguenze. Quindi crisi significa questo: siamo in questo punto e un piccolo spunto, una piccola spinta può avere e può determinare a distanza di tempo, dei destini molto differenti. Da questo punto di vista, per esempio, in una situazione difficile, sentirsi soli o sperimentarsi, aiutati nel senso di qualcosa che è condiviso, l’interfamiliarità, ora non ricordo come lo chiamava Prandini, è qualcosa che può Progetto Villa Lorenzi 1 avere delle conseguenze molto notevoli proprio per il fatto stesso di essere non un’isola ma un arcipelago come tu ci hai insegnato dandoci il titolo. Quindi, crisi come occasione. Tornando al titolo, sapete che l’attività di Villa Lorenzi è oramai lunga, ma anche numerosissime ricerche ci hanno insegnato con chiarezza l’importanza dei rapporti fra le persone proprio per un’evoluzione che va verso una rivoluzione, uno sviluppo, la maturazione o viceversa verso l’arresto, l’immobilità, la sofferenza, la patologia fino alla depressione più grave, per esempio. E quindi, è l’importanza dei rapporti che ci sono stati nel passato e di quelli che ci sono in atto. Cioè quanto il tipo di rapporti attuali può avere influenza nell’arco della psicologia, nella evoluzione della vita di una persona verso un migliore o un peggiore adattamento, uno sviluppo oppure un arresto, una chiusura, un incistamento. Quindi, l’importanza dell’agire sul mondo delle relazioni come modo fondamentale perchè una crisi possa avere uno sviluppo in una direzione o nell’altra. Questo senza togliere importanza all’elaborazione intra-psichica, al significato che ciascuno di noi dà a ciò che succede ma proprio invece ponendo l’importanza anche su questo è importante vedere quanto le esperienze che si hanno e il contesto in cui queste possono essere elaborate ed affrontate abbia delle conseguenze importanti, proprio anche nel lavoro intrapsichico, nel potersi per esempio abbandonare a fantasie, sogni, desideri o doverli invece coartare, sfuggire in vari modi incluso, che ne so, il ricorso alla droga per esempio. Quindi la famiglia, si è detto, è in una situazione di crisi e, in questa crisi, può essere aiutata se viene sostenuta a non chiudere ma ad aprire strade per lo sviluppo. Quindi in questa situazione, un giovane che si ribella, dice chiaramente “io sono stufo, voi siete vecchi, uggiosi, noi siamo il mondo nuovo” e c’è una ribellione che può essere positiva nel senso dell’acquisizione dell’autonomia o viceversa una ribellione distruttiva in qualche modo: basta fatela finita, sono capace di essere ribelle perchè di fronte allo stimolo che voi mi date, che mi fa venire l’angoscia di essere succube, protesto. Quindi, sono succube o ribelle, un dilemma che cela il problema della difficoltà dello sviluppo. Qui c’è una delle poche regole, diciamo, della psicologia spicciola se me lo permettete, la dove di fronte ad una cosa ci si trova davanti ad un dilemma che sembra paralizzante, (o questo o quello) di solito si cerca di nascondere un problema. Di fronte al dilemma, sono succube di una famiglia, per esempio, prepotente, o ribelle, ciò che non si vede è le difficoltà di procedere invece verso l’autonomia. Come dire di cambiare moneta, se succube o ribelle sono due facce della stessa moneta, per cui tutto cambia senza che nulla si modifichi, invece l’ipotesi è quella di cambiare moneta e quindi di vedere come la ribellione sia una segnalazione che qualche cosa non va ma che bisogna cambiare gioco. Quindi, il giovane ribelle che dice, siete uggiosi, non voglio più, scappo o fugo, il ragazzino ci dice non ne posso più di questo, ma poi magari lascia segni che si sta drogando, cioè dice in realtà voglio l’autonomia, ma guardate sto cadendo da una dipendenza da una famiglia che sento oppressiva a una dipendenza ancora più patogena. Allora in questo senso, si vede come in questo dilemma ci sia in realtà una segnalazione, c’è un problema che dobbiamo cercare di superare. Quindi, la nostra attenzione nel progetto Villa Lorenzi, è quella dell’aiuto alle famiglie che include vari tipi e vari livelli di aiuto. Uno importante, che è anche nel titolo appunto, è quello della genitorialità. Che diventare genitori sia un tema rilevante e Prandini c’è l’ha detto di modo chiaro, ma io credo che sia ovvio e che lo si veda anche, per esempio, dai fallimenti. Come persona che si è occupata per tutta la vita di psicopatologia, la quantità di depressione, quando si è avuto un figlio, la depressione del puerperio, la quantità di patologie maschile che non si presenta sotto la forma di diventare padri, non si presenta sotto la forma di depressione paterna, ma si presenta sotto forma di alcune psicosi e di ricorso alla violenza non elaborata mentalmente. Quindi nel diventare genitori, ci sono molti fallimenti e l’intervento deve essere quello di aiutare le persone ad elaborare nella loro mente la capacità di affrontare quei cambiamenti che sono, per esempio, di diventare da figlio a genitore, avere un figlio che per quanto bellissimo non corrisponde a tutti i figli sognati che uno può avere se non ne ha nessuno. Cioè questo lavoro che, mi pare Prandini ci richiamava quando illustrava globalmente il significato della famiglia, che è quello di elaborare culturalmente delle Progetto Villa Lorenzi 2 cose che sono naturali, la differenza fra sessi e generazioni, in modo da elaborarlo culturalmente. Ecco, in questo senso il lavoro di diventare genitori è un lavoro fondamentale, è di diventare e di rimanere genitori. Quindi la nostra ricerca riguarda famiglia, genitorialità nei rapporti con i figli; con i figli sovente in situazioni di crisi, non tanto bambini piccoli quanto preadolescenti e adolescenti, come abbiamo sentito con delle dinamiche particolari, più ribellione per esempio nell’epoca adolescenziale, più una tendenza all’apprendere al di fuori della famiglia da parte del bambino industrioso dell’epoca della preadolescenza, però appunto compiti diversi che cerchiamo di svolgere in un modo complesso. Vedete noi si possono ricercare le caratteristiche che possono portare, per esempio, ad un buon adattamento o ad un cattivo adattamento. A questo riguardo Vi vorrei far vedere alcuni dati. [Ecco qui ci sono]. Si dice che le adolescenti sono sempre in crisi [avevo anche un pointer che è sparito, l’avevo lasciato per tutti i relatori] … Si dice che tutti gli adolescenti sono in crisi, questo è probabilmente frutto di ciò che gli adulti ricordano della loro adolescenza, un periodo in cui in realtà hanno fatto delle scelte fondamentali, hanno acquisito le capacità adulte successive e quindi hanno rinunciato a molte altre cose. Se piuttosto che badare ai nostri ricordi dell’adolescenza interroghiamo gli adolescenti, si vede che essi hanno un’immagine di loro stessi tutto sommato abbastanza buona nella maggioranza dei casi. Qui è scritto che due terzi degli adolescenti interrogati direttamente in modi standardizzati dicono di vivere in modo tranquillo e normale il periodo che gli adulti vedono turbinoso, sia perchè osservano i cambiamenti, cioè si sente questo era il mio bambino ora mi trovo un giovanotto o una ragazza ……- io mi ricordo che un certo giorno le mie figlie mi guardavano con disgusto perchè ero il vecchio babbo invece del babbo da cui dipendevano, allora la crisi li era mia non la loro insomma – sia perchè rivivono i momenti critici della loro adolescenza. Però i due terzi, ricordiamoci che un terzo circa degli adolescenti vive questa situazione come avere bisogno d’aiuto, il che, guardate non è poco. [la prossima diapositiva] Ecco qui vedete sulla linea di destra, campione di controllo, cioè in una zona della Toscana abbiamo esaminato i ragazzi che andavano a scuola, nelle scuole di soggetti tra i 13 e i 20 anni, sono circa 468, e come avevo detto prima sulla base di questo questionario, il 70% ha un’immagine di sé adeguata nei vari campi, nell’immagine corporea, nelle relazioni con l’altro, nello sviluppo….[non.sto a… sennò farei una relazione molto più lunga]. Però il 70% è, da questo punto di vista, un dato confortante, però ricordiamoci che c’è un 30% di cui c’è un 20% nei nostri dati che ha un’immagine di sé negativa, pessimistica e un 11% che ha un’immagine troppo positiva, va tutto troppo bene, come dire sono persone che in qualche modo non affrontano in realtà le difficoltà che stanno vivendo, e che poi troviamo in questa ultima caratteristica, persone che magari entreranno in crisi successivamente quando ci saranno non più la crisi dell’adolescenza ma magari la laurea, i miei studenti che non scrivevano mai la tesi, fermi all’ultimo esame, oppure il matrimonio. Quindi in questo senso le possiamo considerare in un’attitudine, in quel 30%, che ha bisogno d’aiuto. Un 20% perchè sta male, un 10% perchè sta troppo bene. Corrisponde alla definizione di salute dell’organizzazione mondiale della sanità: benessere perfetto psicologico, biologico e sociale, cioè una cosa che non esiste insomma, un po’ maniacale. Invece nella colonna di mezzo, abbiamo esaminato i ragazzi che stavano in una comunità di persone a rischio, a rischio per tossicodipendenza, provenienti da famiglie disgregate, con cattivi risultati scolastici. E vedete che le differenze sono importanti, una percezione di sé adeguata è del 27%, quindi diciamo il 30%, e la maggioranza, il 60% hanno un’immagine di sé negativa, ma leggermente aumentano anche quelli che hanno un’immagine di sé positiva. La prossima [diapositiva]. Quali sono le caratteristiche di questi ragazzi? Qui c’è riportato anche un tipo di studio del legame con i genitori, cioè se il legame è sentito come tranquillo e protettivo ma anche facilitante la crescita in quel conflitto di cui prima avevamo sentito figlio mio è figlio mio? cioè l’aspetto narcisistico, la madre dei gracchi che dice questi sono miei gioielli, sei meraviglioso perchè sei mio figlio, oppure invece è un individuo destinato ad avere un tuo sviluppo? In questo senso, quindi nella norma, si sentono amati, ma per quello che sono e non solo in quanto figli, Progetto Villa Lorenzi 3 vedete che è il 90% da un un lato e il 70% nell’altro. Quindi c’è un peggioramento dei rapporti con i genitori, in particolare un aumento di una percezione di bassa cura, di eccessiva protezione, cioè mi proteggete ma mi impedite di crescere, e il controllo privo di affetti che è l’ultima riga. La prossima [diapositiva]. Sempre in questo campione, che noi abbiamo esaminato, vedete ci sono gli eventi, i casi della vita, quello che la letteratura chiama life events, un sussiegoso nome inglese per dire casi della vita, in questo caso i casi sfavorevoli della vita e qui abbiamo che gli adolescenti di controllo hanno per esempio un numero di eventi sfavorevoli, che misurati con una certa scala viene 4, con una gravità, che sempre misurata con la scala, è 10. Quelli sfortunati, a rischio psicosociale hanno un doppio di eventi negativi e quasi il doppio della gravità. E quindi, l’ultima diapositiva è: quali sono questi eventi? Cambiamento di casa, non come se andiamo a vivere in un quartiere migliore ma abbiamo perso la casa, quindi lo sradicamento, l’assenza di un genitore, una bocciatura, anche qui non dico sono gli eventi che fanno star male ma che lo star male, fra l’altro, facilita eventi negativi quali alla loro volta facilitano lo star male. E’ una causalità circolare, non lineare naturalmente. La rottura di una relazione, disaccordo fra genitori, separazione dai genitori, peggioramento economico, violenza familiare, violenza extra familiare, morte di un amico, aborto. Questi sono alcuni dati e forse c’è qualcosa d’altro.. qui è la tendenza alla depressione in una popolazione scolastica, questo dato è poco significativo, ma alla prossima ci fa vedere come ci sono persone ad alto rischio di depressione che sono fra l’altro molto più le ragazze dei ragazzi. Io penso che sia semplicemente perchè gli uomini manifestano la loro sofferenza con maggiore probabilità con azioni violente, sono portati all’azione, come dire sono cacciatori, le donne se lo tengono dentro e questo diventa di più come un vissuto di violenze, di sofferenze. Ma voi vedete come c’è una quantità di ragazzi, tutt’altro che irrilevante, 80 su 500, 100 (cen?????) maschi e 117 femmine che sono a rischio della depressione, il che – l’ultima diapositiva, mi pare – si collega, per la tendenza alla depressione, nella percezione dei genitori come indifferenti, rifiutanti oppure iperprotettivi e ipercontrollanti, ma senza affetto; e l’utilizzo di strategie per fronteggiare lo stress valutato con questo sistema di tipo evitante cioè ragazzi, che in quest’età, semplicemente di fronte alle difficoltà svicolano, voltano le spalle, sfuggono e quindi, quello che sembra essere fannullone, disimpegnato, ecc. cioè qualcosa che ha una sorta d’atteggiamento nostro di giudizio negativo, è spesso un sintomo di un rischio di depressione. Vi ho fatto vedere questi dati, in parte come gratificazione narcisistica, le abbiamo fatti, le abbiamo pubblicati su una buona rivista, ma l’altro per un problema di metodo. Qui noi abbiamo ottenuto questi dati, questo dimostra che ci sono sofferenze, che c’è possibilità, ma abbiamo fatto dei bei questionari e poi ci siamo fermati. Mi pare che il progetto di cui parlo e del quale sono per questo una parte attiva e vedo in esso possibilità d’impegno per me molto piacevoli, è che non è possibile invece fare questo, noi non possiamo misurare e fermarci a questo. Lo possiamo fare soltanto se lo facciamo con dei questionari. Quando noi entriamo in rapporto con le persone che soffrono, il nostro metodo di ricerca dei dati diventa clamorosamente diverso. Un breve esempio, [ho ancora qualche minuto, spero, se mai mi tiri per la giacca] vedete, noi facciamo la glicemia in un laboratorio. Se noi ci garantiamo che la quantità di reattivi, la quantità di sangue, la temperatura, il colore sono uguali, le caratteristiche dei dati che vengono fuori devono essere riproducibili e ripetibili. Cioè Io che lavoro in un laboratorio posso ripeterlo e un altro laboratorio può ripeterlo con risultati grosso modo uguali. Con questi test, noi otteniamo dei dati che sono ripetibili, che sono riproducibili, hanno una loro utilità. Ma laddove noi entriamo in rapporto con un altro essere umano, lì le cose cambiano di qualità. Non sono più ripetibili e riproducibili. Stamattina invece di essere qui, ho una consultazione poniamo, e vedo un paziente: parliamo e abbiamo un incontro. Domattina se Io ripeto l’incontro e pretendo che sia uguale, questo paziente giustamente dice, il Professore Pazzagli è rincoglionito perchè non si ricorda dell’incontro di ieri, perchè in realtà l’incontro di domani risentirà di quello di oggi. Quindi non c’è questa ripetitività, non c’è riproducibilità perchè se invece che venire da me, un vecchio psicanalista, va da una giovane Progetto Villa Lorenzi 4 psicanalista, per esempio il contenuto del colloquio sarà molto diverso, l’atteggiamento emotivo sarà diverso. Allora riproducibilità e ripetitibilità non sono possibili se non a grandi linee. Alcuni problemi che troveremo saranno simili ma ciò che c’è, sia nell’operatore sia nel cliente diciamo, c’è una relazione che lascia traccia. Lascia traccia nella memoria, lascia significati affettivi, significati di contenuto, letture, vertici di osservazione, per cui questo metodo non è più applicabile e dobbiamo avere chiaro che siamo in gioco come persona, come operatore e come utente e che c’è un continuo trasformarci. Quindi non è possibile non intervenire, far finta che le cose siano osservazioni neutrali. In più c’è un’altra cosa. Se noi ci limitiamo ad osservare i fenomeni, ma non cerchiamo di porli nella nostra relazione e di dare a questi fenomeni che il paziente porta, un significato condiviso, noi ci poniamo in un’ottica cinica. Cioè, non è che siamo neutrali come quando si fa la glicemia, si diventa cinici. Mi diverto ad osservare, per esempio, quanto è matto il mio paziente ma questo è una risposta emotivamente negativa. Quindi non è vero, non si può non comunicare ci viene insegnato da alcune scuole di psicologia, ma questo significa che noi siamo in gioco perchè, appunto, l’atteggiamento freddo e distanziato è un atteggiamento non neutrale ma eticamente, in qualche modo ho detto cinico e quindi ho fatto riferimento ad un’organizzazione in qualche modo perversa, fingo di aiutarlo ma non lo aiuto. Credo che questo punto sia proprio il cambiamento che non solo qui, ma Villa Lorenzi nel suo progetto si pone drammaticamente. Se c’è qualcosa da fare, dunque va fatta. Non ci si può limitare a vedere che ci sono questi problemi. Come si fa a fare? Ed è per questo che vi richiamavo i miei 30 anni di collaborazione nella zona con Zaira, ci vediamo e si dice “che si fa con questo ragazzino difficile” e poi loro dicono “oh caspita, ma Lei ci ha detto di far cosi”, via di corsa a farlo, c’è una circolarità? Per cui ciò che il nostro progetto prevede non è una ricerca distanziata osservante, ma una ricerca intervento, per cui si ricerca, ma mentre si ricerca si cerca di fare. Ecco, questo mi sembra essere la base teorica in base alla quale il progetto è partito. E’ partito, diciamo con il 2010, quindi non è vero che siamo proprio agli inizi, ma molte cose sono state fatte e mi permettete ve le ricordo: per esempio sono stati fatti due cicli di cine forum sulla figura del padre e uno sulla relazione di coppia. Si tratta di scegliere i film che diano uno stimolo, le persone vengono a vederlo e poi c’è una discussione sui temi che il film ha sollevato. Discussione non vuol dire accettazione […..no ma lui mi dice cosi, ma a me sembra che…..] cioè di nuovo ci si pone in quella situazione interattiva per cui nel rapporto con noi, si ripete lo stimolo del film. Poi, ci sono stati 8 cicli d’incontri con i genitori, sulle loro difficoltà, e quindi qualche cosa in cui gli operatori non si ponevano distaccati, ma si ponevano come cerchiamo di capire i vostri problemi. E guardate, questo è un grandissimo aiuto. Persone che hanno problemi simili, ma naturalmente, unici nel loro genere, traggono un gran sollievo nel confrontarsi con persone che hanno un problema simile. All’inizio della mia carriera, mi sono quasi sempre occupato di adulti, da un giorno all’altro in clinica andò via il neuropsichiatria infantile, e Io fui messo a fare l’ambulatorio di neuropsichiatria infantile con gran terrore e notte insonni, ma feci due gruppi che mi soddisfecero, fecero molto. I genitori degli epileptici ed i genitori degli enuretici. Cioè dei gruppi di persone che avevano un problema specifico, biologico, ma la risposta al quale era naturalmente legata alla loro angoscia, alla paura della morte, alla paura della malattia, ecc. Questo fu un’esperienza che mi convinse che quanto gli interventi che noi, anche da un punto di vista medico, facciamo non sono soltanto diretti alla malattia biologica ma alle risposte dell’individuo alla malattia, e quanto queste risposte possono avere vantaggi dal confrontarsi con esperienze analoghe. Poi abbiamo fatto incontri in una scuola con i genitori, centrati su temi per esempio come l’alleanza scuola famiglia, alleanza punto interrogativo, il conflitto dialettico scuola famiglia, l’alfabetizzazione ai nuovi mezzi di comunicazione, il linguaggio verbale e corporeo, diretti a genitori di ragazzini in fase pre-adolescenziale, cioè sottolineando che esistono problemi specifici che riguardano anche il tipo di età. Sono stati fatti incontri sul conflitto genitori figli, e il problema degli adolescenti con la scuola. Sapete che oggi, al contrario di quello che succedeva a noi, il sapere non arriva soltanto dalla scuola e quindi, questi ragazzi hanno problemi drammaticamente diversi da Progetto Villa Lorenzi 5 quelli che noi avevamo, o fuggivamo la scuola o era la fonte del nostro sapere. Ora è una delle fontim ma certamente è una fonte di esperienze dello stare insieme. Infine, il sostegno alla genitorialità ha cominciato a svolgersi attraverso una linea telefonica dedicata a questo. C’è un operatore che risponde dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle 19. Questo è una cosa particolarmente delicata, perché chi risponde al telefono ha spesso un ruolo estremamente critico. Se appare, accogliente o rifiutante. “Mi dica” è un atteggiamento diverso di una risposta al telefono che dice “e che la vole?”, tanto per fare [un esempio]. Qualche cosa che [fa pensare a] “mi stai scocciando, sbrigati o invece abbiamo il tempo”. Con questa necessità quindi di formazione anche di chi risponde al telefono, sono stati accolte una cinquantina di richieste di persone che sono venute qui per dei colloqui e finora 14 hanno cominciato a partecipare, appunto, a gruppi di genitori che affrontano il problema della genitorialità. Questo è un breve fare il punto della situazione per sottolineare come il progetto è già partito. E chiudendolo in breve. Per primo, la nostra idea è che nel corso della vita si cambia e si cambia sempre e quindi non c’è mai da disperare per quanto un caso o una situazione appaiono gravi, e lo siano, non è vero che non c’è nulla da fare, si può sempre fare qualcosa, se non si hanno pretese onnipotenti, magiche, “allora o muore o guarisce” il paziente più facilmente muore. Se invece del punto, la domanda è “come può essere aiutato”, allora si possono avere dei cambiamenti. Quindi vedete che incontriamo qui una ottica profondamente diversa da certe richieste di aiuto che ci aspettiamo ed è anche qualcosa che implica in tutti noi la necessità di rinunciare all’aspetto onnipotente, non è vero che salvo vite però posso aiutare delle persone. Quindi prendersi cura come capacità di fare qualcosa in tutti i casi, qui non sto dicendo “sani o malati”, in tutti i casi dalla più grave patologia al disaggio più modesto. L’altra constatazione è che di fronte ad una crisi, siamo in una situazione privilegiata per poter fare qualcosa, per poter cambiare il destino di una persona a distanza di tempo e quindi che non si può non fare e che fare insieme è il modo migliore per aiutare le persone a scoprire le loro stesse risorse, a non sentirsi soli, e quindi non fare per loro o essere i saggi che sanno. Nel caso mio, il professore che ha insegnato all’università, ma invece aiutarli a capire la situazione che ha a che vedere con il massimo delle possibilità di fare qualcosa. E questo mi sembra che sia lo spirito con cui questo progetto, sostenuto dalla Regione e dal Comune di Firenze, è nato e continua ad andare avanti e speriamo che evolva sempre di più in azioni più efficaci. Grazie dell’attenzione. Progetto Villa Lorenzi 6

 

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2018-02-05T17:27:36+00:00sabato, 5 Giugno, 2010|